UN SINDACO FUORI DAL COMUNE

Già conoscerlo e scambiare poche parole era stato un grande momento di crescita politica e culturale. Avere l’onore di scrivere la prefazione alla sua biografia è un vero e proprio privilegio. Antanas Mockus, sindaco di Bogotà per due mandati e detonatore della Marea Verde colombiana che ha portato gli ecologisti a quasi il 30%, è la dimostrazione che un’altra politica è davvero possibile. Strana, ma possibile.

Grazie alla EMI e all’autore Sandro Bozzolo.

 

UN SINDACO FUORI DEL COMUNE

La democrazia partecipativa esiste.

Storia di Antanas Mockus, Supercittadino di Bogotà

di Sandro Bozzolo

Prefazione di Domenico Finiguerra

Come si rompono gli schemi della politica?
Qual è la strada da percorrere per riuscire a sovvertire la piazza reale o virtuale dove si svolge il dibattito politico e si forma l’opinione pubblica?
Quali sono gli strumenti per promuovere cambiamento politico e, prima ancora, culturale?
Mockus, con la sua esperienza di sindaco di Bogotà e di rettore dell’Università nazionale di Colombia, elabora e pratica una serie di risposte nuove a questi quesiti.
Il suo istinto e la sua genialità sono messi a disposizione di un disegno razionale, da perseguire attraverso esercizi di pedagogia collettiva, andando a toccare i sentimenti più intimi dei cittadini, a partire dall’orgoglio.
Mockus è un campione di judo! Nel judo, vince chi riesce a utilizzare al meglio la forza dell’avversario a proprio vantaggio; e per Mockus l’avversario principale è l’omologazione culturale costruita dai mass media. Così, con stratagemmi e colpi di scena, riesce a catalizzare su di sé l’attenzione dei mezzi di informazione: mostrando le natiche agli studenti, occupa i Tg nazionali; inviando clown e mimi a dirigere il traffico, con risultati eccezionali, ridicolizza le parole d’ordine di chi propone il solo metodo repressivo per far rispettare le regole; gettando un bicchiere d’acqua in diretta televisiva a un suo avversario politico, mostra come la violenza simbolica possa essere un antidoto alla violenza reale.
Il linguaggio (verbale e non verbale, soprattutto simbolico) è esso stesso contenuto del messaggio di Mockus. Un linguaggio che mette in grande difficoltà i partiti tradizionali, quelli che si collocano sull’asse destra-sinistra. Un linguaggio nuovo e diverso, perché in una terra lacerata e divisa quale è la Colombia (dove violenza e corruzione dominano e sopprimono sul nascere ogni istinto di rinascimento collettivo, dove l’apatia anestetizza ogni moto di ribellione, dove machismo e onore dominano su ogni atteggiamento progressista e razionale), il rettore supersindaco evoca l’unione dei cittadini per il bene comune, coltivando in centinaia di migliaia di colombiani la voglia di prendersi il proprio pezzettino di responsabilità nel grande processo di costruzione di una nuova coscienza civile.
Mockus parla alla pancia dei cittadini, senza evocare sentimenti negativi (la paura dell’altro e l’odio), ma al contrario recuperando la politica come visione, invitando tutti a immaginare un paese e un mondo diverso. Un paese e un mondo dove il rinascimento culturale incrocia l’ecologia della politica.
Mockus vuole fare la Rivoluzione! Non una semplice rivoluzione verde – e infatti, pur essendo il protagonista della cosiddetta “Marea verde”, anzi ridefinendo la stessa parola verde nel vocabolario della politica colombiana, non è etichettabile come un semplice ambientalista. Egli persegue il cambiamento radicale, quello che la sinistra e i progressisti classici hanno ormai cancellato dalle loro agende politiche. Antanas Mockus vuole sovvertire davvero lo stato delle cose e vuole farlo senza lanciare neanche un cubetto di porfido. Vuole abbattere a colpi di violenza simbolica i totem e le icone di una società arcaica e moderna al tempo stesso.
Attraverso la partecipazione dei cittadini alle scelte amministrative e politiche, il sindaco di Bogotà sperimenta con successo il governo orizzontale. Camminare per la strada e poter esporre un cartellino rosso o un pollice verso al concittadino che si rende protagonista di una violazione di legge o di un comportamento immorale è un privilegio, invidiato oltre i confini della città, di cui i bogotani diventano presto orgogliosi.
Alla partecipazione attiva si affianca presto quella via web, e Facebook diventa un moltiplicatore esponenziale della Marea verde.
Una moltiplicazione che a un certo punto ha proiettato il laboratorio di Mockus su scala nazionale, rendendo possibile e a portata di mano un obiettivo prima inimmaginabile: la presidenza della repubblica colombiana a un candidato verde.
Ma se a livello locale, seppur nella popolosissima capitale Bogotà, Mockus ha potuto preparare e cogliere la sua rivoluzione gentile, riscuotendo unanime (e spesso peloso) consenso dal mondo politico classico, che ha fatto sovente buon viso a cattiva sorte di fronte ai successi politici e amministrativi del sindaco anomalo, allorquando lo stesso Mockus ha provato a compiere il balzo verso il vertice massimo della repubblica, arrivando al ballottaggio grazie all’imponente Marea verde, si sono mossi altri meccanismi politici.
Meccanismi che hanno fatto da argine all’enorme voglia di cambiamento trasversale (di giovani, di casalinghe, di contadini) che Mockus aveva saputo attivare in tutta la Colombia.
Dalla banalizzazione dell’esperienza di Mockus, agli attacchi più vili sul suo stato di salute, dall’etichettatura del sindaco come sognatore (che Mockus utilizza comunque come suo punto di forza) all’ostracismo strisciante.
Meccanismi che alla fine hanno avuto la meglio e hanno bloccato l’ascesa imprevedibile del visionario che aveva saputo risvegliare e riportare alla politica attiva una larga fetta di cittadini prima rassegnati.E in Italia?
Sono possibili in Italia esperimenti riconducibili al “laboratorio mockusiano”? Sì. Anzi, sono già stati compiuti, spesso inconsapevolmente, a partire dal livello locale. Si pensi alle numerose esperienze dei Comuni virtuosi e della Rete dei comuni solidali, che praticano il cambiamento dal basso attraverso una nuova visione della politica locale, partecipata, attenta al territorio, all’integrazione.
Oppure al popolo dell’acqua pubblica che, dopo decenni di fallimenti dello strumento referendario, ha riaffermato la preminenza dell’interesse pubblico rispetto a quello del profitto e del mercato.
Oppure ancora alla miriade di movimenti ambientalisti, liste civiche, comitati a difesa dei beni comuni che potrebbero dare vita a una nuova marea civica ed ecologista italiana. Una moltitudine dispersa in attesa di un detonatore che sappia metterli in connessione l’uno con l’altra.
Ma anche in Italia sono già scattati gli stessi meccanismi che hanno fermato Mockus. “Antipolitica e qualunquismo!”, queste le parole più e più volte pronunciate, come un mantra, da politici e commentatori italiani riconducibili a un centrosinistra e a un centrodestra sempre più simili tra loro; mantra ripetuti per esorcizzare ogni tentativo di cambiamento dello scenario politico dello Stivale.
Ma le ultime elezioni amministrative, con la grande avanzata delle liste civiche ed ecologiste, sia di quelle “veraci” che di quelle del Movimento 5 Stelle, e la crescente astensione – a indicare la disaffezione verso i partiti e le coalizioni tradizionali –, mostrano la presenza di un enorme spazio politico a disposizione di chi saprà interpretare in maniera autentica e sincera la comune voglia di provare ad abbattere in Italia, come in Colombia, totem, icone e simboli della vecchia politica decadente e di mestiere.
Per farlo davvero, però, la proposta deve porsi innanzitutto l’obiettivo di unire. Di unire la miriade di realtà che oggi sono sparpagliate.
L’Italia è puntinata di minoranze. Dai famosi movimenti contro le grandi opere ai promotori di gruppi di acquisto solidale sul territorio, dall’importante movimento per l’acqua pubblica ai piccoli comitati locali che si oppongono alla cementificazione, agli inceneritori o alle centrali.
L’Italia è piena di minoranze che basano le loro convinzioni sugli stessi presupposti: la tutela dei beni comuni, l’integrazione tra i popoli e il rispetto per le diversità, la contestazione di questo modello di sviluppo ormai decotto che sta sacrificando sull’altare dei mercati e della finanza i diritti delle persone e le risorse limitate dello stesso pianeta.
L’Italia è piena di minoranze che già parlano la stessa lingua, già hanno la stessa visione di futuro, già praticano lo stesso terreno.
Sarebbe forse ora che si uniscano. Non solo per rompere gli schemi, ma per candidarsi a governare questo paese.
Domenico Finiguerra

 

facebook comments:

One Response so far.

  1. […] la prefazione alla sua biografia “Un Sindaco Fuori Dal Comune” scrive così sul suo blog: Come si rompono gli schemi della politica? Qual è la strada da percorrere per riuscire a […]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *